I LIMITI AL DIRITTO DI CRITICA DEL LAVORATORE
In una recente sentenza del 17 gennaio 2017, la Corte di Cassazione si è soffermata sulla possibilità per il lavoratore di criticare, anche aspramente, il proprio datore di lavoro.
Si tratta di una fattispecie assai delicata, nella quale i doveri di correttezza e collaborazione che incombono il lavoratore si scontrano con le libertà di espressione e manifestazione del pensiero, le quali sussistono anche nel luogo di lavoro.
Nella fattispecie, una lavoratrice era stata licenziata per aver criticato, tramite esposto alla Procura della Repubblica e al Ministro del Lavoro, l’improprio ricorso alla CIGS e alla mobilità da parte della società dove lavorava sebbene quest’ultima fosse in continua crescita. Sia i Giudici di merito che la Corte di Cassazione, esaminato il caso concreto, hanno ritenuto il licenziamento illegittimo. Ciò, nonostante la lavoratrice avesse effettivamente posto in essere la condotta contestata, in quanto le sue esternazioni rispettavano i limiti del diritto di critica che spetta a ciascun lavoratore.
Su tali limiti è opportuno soffermarsi.
Il diritto di critica costituisce l’espressione del diritto di manifestazione del pensiero con qualsiasi mezzo di diffusione, come riconosciuto dall’articolo 21 della Costituzione e dall’articolo 1 dello Statuto dei lavoratori. Il regolare esercizio di questo diritto prevede il bilanciamento tra l’interesse di esprimere la propria opinione ed il diritto individuale alla integrità della reputazione. La critica deve, infatti, essere orientata al soddisfacimento di un interesse giuridicamente rilevante, di valore almeno pari a quello del bene leso. Pertanto, per essere legittimamente esercitato, e non dare luogo a sanzioni, il diritto di critica deve iscriversi entro precisi limiti.
La critica di un dipendente incontra anzitutto, dei limiti cosiddetti esterni ovvero l’onore, la reputazione (art. 2 Costituzione), e la libertà dell’impresa (art. 41 Costituzione), nonché dei limiti cosiddetti interni costituiti dalla continenza sostanziale e dalla continenza formale.
Per continenza sostanziale si intende che i fatti narrati dal lavoratore devono corrispondere a criteri di veridicità e di obiettività. Per continenza formale si intende non solo che il lavoratore deve esprimere il suo pensiero con moderazione, ma anche che ogni opinione o espressione utilizzata, anche polemica, deve essere conforme ai parametri di correttezza e civiltà. Come illustrato da questa decisione, il requisito della continenza formale viene attenuato dalla necessità di esprimere le proprie opinioni anche con espressioni assai offensive e sgradite dalla persona a cui sono riferite. Perciò, il Giudice di merito provvede ad un esame della condotta posta in essere dal lavoratore per verificare se questi limiti siano o meno stati osservati.
Oltrepassare uno di questi limiti può comportare l’attivazione di un procedimento disciplinare da parte del datore di lavoro verso il suo dipendente, in quanto viene violato l’obbligo di fedeltà, di cui all’articolo 2105 del Codice civile, che include la correttezza e la buona fede nell’esecuzione del rapporto di lavoro. La sanzione può includere, a seconda della gravità dei casi, il licenziamento. Ulteriore rischio per il lavoratore è quello di poter essere responsabile di danni eventualmente patiti dal datore di lavoro.
Nel caso in esame, la Suprema Corte conferma quanto ritenuto dal Giudice di merito. Quest’ultimo precisa che le circostanze segnalate dalla lavoratrice erano già state divulgate dalla stampa e discusse in sedi istituzionali. Per quanto riguarda l’asprezza dei termini utilizzati, viene ritenuto che “l’uso di termini quali illecito o truffa era da ritenersi strettamente correlato a quei dati dei quali l’opinione pubblica era a conoscenza da tempo e compatibile con il contesto in cui era inserito”. Di conseguenza, la Corte di Cassazione conferma l’illegittimità del licenziamento della lavoratrice, poiché le sue critiche non hanno travalicato i limiti del corretto esercizio del diritto di critica, sebbene siano stati utilizzati termini aspri.
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