Il lavoro accessorio dopo il Jobs Act: i nuovi voucher

04 gennaio 2016

Il lavoro accessorio dopo il Jobs Act: i nuovi “voucher”

 

Liberalizzazione nell’utilizzo dei buoni lavoro e controlli più stringenti: ecco le principali linee guida della riforma del lavoro accessorio, contenuta nel decreto legislativo n.81, approvato lo scorso15 giugno 2015, in materia di riordino delle tipologie contrattuali.

Già oggetto di novità con la Legge n. 92 del 2012 (più nota come ‘Riforma Fornero’), il lavoro accessorio rappresenta una particolare modalità di prestazione lavorativa che disciplina le c.d. prestazioni occasionali (ovvero quelle svolte in modo saltuario), caratterizzata, oltre che da un residuale ambito applicativo, da un sistema di pagamento del compenso attraverso i cosiddetti buoni lavoro (noti a tutti come Voucher).

Tale tipologia di rapporto prescinde dalle modalità con cui è resa la prestazione lavorativa, seppur la stessa solitamente presenti i connotati tipici della subordinazione. Il lavoro accessorio deve essere distinto dalla diversa tipologia (spesso confusa) del lavoro autonomo occasionale. Quest’ultima definizione, infatti, sta ad indicare prestazioni svolte in forma autonoma ai sensi dell’art. 2222 cc (dunque, senza alcuna direttiva da parte del committente, né forma di coordinamento con l’attività dello stesso) per le quali, in ragione dell’esiguità del ricavato, è prevista l’esenzione dalla contribuzione previdenziale, ove il prestatore non superi i 5.000 euro di compensi annui complessivi, al di sopra dei quali scatta invece l’obbligo di iscrizione alla gestione separata INPS (ai sensi dell’art. 44, c. 2, D.L. 269/03).

Quanto al lavoro accessorio, qui approfondito, per meglio comprendere l’effettiva portata del recente intervento in materia, appare utile ricostruire brevemente quella che fino ad oggi ha rappresentato la normativa di riferimento dell’istituto qui commentato.

Nella versione originaria del Decreto Biagi (artt. da 70 a 74, D.lgs. 276/2003), la disciplina del lavoro accessorio - introdotta per la prima volta in attuazione della delega contenuta nella Legge n. 30/2003 - limitava l’uso dei buoni lavoro solo a determinate fattispecie e a categorie di prestatori d’opera (allora definiti “deboli”) più in difficoltà nel trovare un impiego stabile. Le numerose modifiche apportate nel corso degli anni hanno via via esteso l’ambito di applicazione di tale istituto, da un lato attraverso la generalizzazione delle attività lavorative previste, dall’altro ampliando la gamma dei soggetti che potevano renderle. Purtuttavia, è solo con il Ministro Fornero e in particolare con la legge n. 99/2013 (di conversione del d.l. n. 76/2013), che si ha una prima forte liberalizzazione dell’istituto: fermo il limite di 5.050 Euro quale compenso massimo netto per anno, sono eliminate le parole “di natura meramente occasionale” e di conseguenza i buoni lavoro possono così essere utilizzati per qualsiasi attività lavorativa, con l’ulteriore condizione, però, di non superare i 2.020 euro netti di compenso ricevuto dal medesimo committente imprenditore commerciale o professionista.

E’ nel quadro appena descritto che si inserisce la recentissima modifica apportata con il decreto legislativo qui commentato, che segna un’ulteriore liberalizzazione dell’istituto attraverso l’aumento del tetto massimo complessivo annuo.

Ma andiamo per gradi. Secondo il nuovo testo, che sostituisce integralmente la disciplina prima contenuta nel Decreto Biagi, per prestazioni di lavoro accessorio si intendono “attività lavorative di natura subordinata o autonoma che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 7 .000 euro nel corso di un anno civile, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati”.

La causale della prestazione viene quindi definitivamente e formalmente neutralizzata e il limite economico passa da 5.000 a 7.000 euro (rivalutabili annualmente) pur sempre riferiti, però, alla totalità dei committenti a favore dei quali, nell’anno, può essere resa la prestazione. Rimane, infatti, fermo il limite di 2.000 euro (anch’esso rivalutato annualmente) per il valore delle prestazioni che possono essere rese nei confronti del singolo committente imprenditore o professionista.

Come già accennato in apertura del presente articolo, quale contropartita alla liberalizzazione delle prestazioni, il recente legislatore prevede un più stringente sistema di controllo. In particolare, accentua la tracciabilità dei buoni e all’effetto stabilisce che i committenti imprenditori o professionisti interessati sono tenuti ad acquistare esclusivamente con modalità telematiche “uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati, per prestazioni di lavoro accessorio il cui valore nominale è fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, tenendo conto della media delle retribuzioni rilevate per le diverse attività lavorative e delle risultanze istruttorie del confronto con le parti sociali”.

Altra novità, riguarda, poi, la comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro competente, che i committenti imprenditori o professionisti che ricorrono a prestazioni occasionali di tipo accessorio sono tenuti a fare, prima dell'inizio della prestazione, attraverso modalità telematiche, ivi compresi sms o posta elettronica, specificando i dati anagrafici e il codice fiscale del lavoratore ed indicando, altresì, il luogo della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore ai trenta giorni successivi.

Indubbiamente i buoni lavoro sono nati per legalizzare situazioni di “lavoro nero”.  Hanno un valore di 10 euro l’ora (di cui al lavoratore spettano 7,50 euro) e garantiscono una piena (seppur ridotta) copertura previdenziale presso l’Inps e assicurativa presso l’Inail. Il datore di lavoro, da parte sua, attraverso l’utilizzo dei voucher, ha la (legittima) possibilità di avvalersi di lavoratori pagati oggettivamente meno rispetto ad altre forme contrattualistiche (basta pensare all’esenzione dall’imposizione fiscale prevista per il suddetto compenso), rispettando comunque la legalità e la sicurezza.

I vantaggi riconosciuti agli imprenditori nei termini descritti, accompagnati da una maggior flessibilizzazione dell’istituto (che, come detto, ha caratterizzato le riforme degli ultimi anni), ha portato ad un notevole incremento di utilizzo del buono lavoro, con un tasso medio di crescita – secondo una stima Inps del 30 giugno 2015 – pari addirittura al 70% rispetto al 2012 e del 75% nel primo semestre del 2015 rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. Sconvolgente aumento, definito ‘boom dei buoni’, dovuto indubbiamente anche alle numerose difficoltà che ha incontrato (e che purtroppo continua ad incontrare) il nostro Paese sul piano lavorativo e che ha portato ad avvicinarsi a tale modalità di lavoro non più solo studenti, pensionati o lavoratori stagionali, ma anche disoccupati, lavoratori con monte ore o stipendio dimezzato, o anche dipendenti bisognosi di integrare il proprio stipendio mensile.

I numeri parlano da soli: ogni anno i voucher, che fino a poco fa erano conosciuti da pochi, stanno diventando sempre più protagonisti nel panorama del lavoro italiano. Occorre, però, verificare, prima di parlare di ‘successo’, se l’aumento temporaneo di occupazione (qual è quello conseguente al maggior utilizzo di forme di lavoro accessorio) possa davvero considerarsi un dato positivo per la lotta al lavoro nero, o viceversa rappresenti semplicemente una ‘nuova trovata’ per evitare contrattualizzazioni stabili e mascherare situazioni di lavoro sottopagato.

 

 

 

 

Il lavoro accessorio dopo il Jobs Act: i nuovi “voucher”

 

Liberalizzazione nell’utilizzo dei buoni lavoro e controlli più stringenti: ecco le principali linee guida della riforma del lavoro accessorio, contenuta nel decreto legislativo n.81, approvato lo scorso15 giugno 2015, in materia di riordino delle tipologie contrattuali.

Già oggetto di novità con la Legge n. 92 del 2012 (più nota come ‘Riforma Fornero’), il lavoro accessorio rappresenta una particolare modalità di prestazione lavorativa che disciplina le c.d. prestazioni occasionali (ovvero quelle svolte in modo saltuario), caratterizzata, oltre che da un residuale ambito applicativo, da un sistema di pagamento del compenso attraverso i cosiddetti buoni lavoro (noti a tutti come Voucher).

Tale tipologia di rapporto prescinde dalle modalità con cui è resa la prestazione lavorativa, seppur la stessa solitamente presenti i connotati tipici della subordinazione. Il lavoro accessorio deve essere distinto dalla diversa tipologia (spesso confusa) del lavoro autonomo occasionale. Quest’ultima definizione, infatti, sta ad indicare prestazioni svolte in forma autonoma ai sensi dell’art. 2222 cc (dunque, senza alcuna direttiva da parte del committente, né forma di coordinamento con l’attività dello stesso) per le quali, in ragione dell’esiguità del ricavato, è prevista l’esenzione dalla contribuzione previdenziale, ove il prestatore non superi i 5.000 euro di compensi annui complessivi, al di sopra dei quali scatta invece l’obbligo di iscrizione alla gestione separata INPS (ai sensi dell’art. 44, c. 2, D.L. 269/03).

Quanto al lavoro accessorio, qui approfondito, per meglio comprendere l’effettiva portata del recente intervento in materia, appare utile ricostruire brevemente quella che fino ad oggi ha rappresentato la normativa di riferimento dell’istituto qui commentato.

Nella versione originaria del Decreto Biagi (artt. da 70 a 74, D.lgs. 276/2003), la disciplina del lavoro accessorio - introdotta per la prima volta in attuazione della delega contenuta nella Legge n. 30/2003 - limitava l’uso dei buoni lavoro solo a determinate fattispecie e a categorie di prestatori d’opera (allora definiti “deboli”) più in difficoltà nel trovare un impiego stabile. Le numerose modifiche apportate nel corso degli anni hanno via via esteso l’ambito di applicazione di tale istituto, da un lato attraverso la generalizzazione delle attività lavorative previste, dall’altro ampliando la gamma dei soggetti che potevano renderle. Purtuttavia, è solo con il Ministro Fornero e in particolare con la legge n. 99/2013 (di conversione del d.l. n. 76/2013), che si ha una prima forte liberalizzazione dell’istituto: fermo il limite di 5.050 Euro quale compenso massimo netto per anno, sono eliminate le parole “di natura meramente occasionale” e di conseguenza i buoni lavoro possono così essere utilizzati per qualsiasi attività lavorativa, con l’ulteriore condizione, però, di non superare i 2.020 euro netti di compenso ricevuto dal medesimo committente imprenditore commerciale o professionista.

E’ nel quadro appena descritto che si inserisce la recentissima modifica apportata con il decreto legislativo qui commentato, che segna un’ulteriore liberalizzazione dell’istituto attraverso l’aumento del tetto massimo complessivo annuo.

Ma andiamo per gradi. Secondo il nuovo testo, che sostituisce integralmente la disciplina prima contenuta nel Decreto Biagi, per prestazioni di lavoro accessorio si intendono “attività lavorative di natura subordinata o autonoma che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 7 .000 euro nel corso di un anno civile, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati”.

La causale della prestazione viene quindi definitivamente e formalmente neutralizzata e il limite economico passa da 5.000 a 7.000 euro (rivalutabili annualmente) pur sempre riferiti, però, alla totalità dei committenti a favore dei quali, nell’anno, può essere resa la prestazione. Rimane, infatti, fermo il limite di 2.000 euro (anch’esso rivalutato annualmente) per il valore delle prestazioni che possono essere rese nei confronti del singolo committente imprenditore o professionista.

Come già accennato in apertura del presente articolo, quale contropartita alla liberalizzazione delle prestazioni, il recente legislatore prevede un più stringente sistema di controllo. In particolare, accentua la tracciabilità dei buoni e all’effetto stabilisce che i committenti imprenditori o professionisti interessati sono tenuti ad acquistare esclusivamente con modalità telematiche “uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati, per prestazioni di lavoro accessorio il cui valore nominale è fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, tenendo conto della media delle retribuzioni rilevate per le diverse attività lavorative e delle risultanze istruttorie del confronto con le parti sociali”.

Altra novità, riguarda, poi, la comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro competente, che i committenti imprenditori o professionisti che ricorrono a prestazioni occasionali di tipo accessorio sono tenuti a fare, prima dell'inizio della prestazione, attraverso modalità telematiche, ivi compresi sms o posta elettronica, specificando i dati anagrafici e il codice fiscale del lavoratore ed indicando, altresì, il luogo della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore ai trenta giorni successivi.

Indubbiamente i buoni lavoro sono nati per legalizzare situazioni di “lavoro nero”.  Hanno un valore di 10 euro l’ora (di cui al lavoratore spettano 7,50 euro) e garantiscono una piena (seppur ridotta) copertura previdenziale presso l’Inps e assicurativa presso l’Inail. Il datore di lavoro, da parte sua, attraverso l’utilizzo dei voucher, ha la (legittima) possibilità di avvalersi di lavoratori pagati oggettivamente meno rispetto ad altre forme contrattualistiche (basta pensare all’esenzione dall’imposizione fiscale prevista per il suddetto compenso), rispettando comunque la legalità e la sicurezza.

I vantaggi riconosciuti agli imprenditori nei termini descritti, accompagnati da una maggior flessibilizzazione dell’istituto (che, come detto, ha caratterizzato le riforme degli ultimi anni), ha portato ad un notevole incremento di utilizzo del buono lavoro, con un tasso medio di crescita – secondo una stima Inps del 30 giugno 2015 – pari addirittura al 70% rispetto al 2012 e del 75% nel primo semestre del 2015 rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. Sconvolgente aumento, definito ‘boom dei buoni’, dovuto indubbiamente anche alle numerose difficoltà che ha incontrato (e che purtroppo continua ad incontrare) il nostro Paese sul piano lavorativo e che ha portato ad avvicinarsi a tale modalità di lavoro non più solo studenti, pensionati o lavoratori stagionali, ma anche disoccupati, lavoratori con monte ore o stipendio dimezzato, o anche dipendenti bisognosi di integrare il proprio stipendio mensile.

I numeri parlano da soli: ogni anno i voucher, che fino a poco fa erano conosciuti da pochi, stanno diventando sempre più protagonisti nel panorama del lavoro italiano. Occorre, però, verificare, prima di parlare di ‘successo’, se l’aumento temporaneo di occupazione (qual è quello conseguente al maggior utilizzo di forme di lavoro accessorio) possa davvero considerarsi un dato positivo per la lotta al lavoro nero, o viceversa rappresenti semplicemente una ‘nuova trovata’ per evitare contrattualizzazioni stabili e mascherare situazioni di lavoro sottopagato.

 

 

 

 

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