In caso di licenziamento per ragioni organizzative spetta all'azienda provare l'impossibilità di repechage

27 marzo 2017

IN CASO DI LICENZIAMENTO PER RAGIONI ORGANIZZATIVE SPETTA ALL'AZIENDA PROVARE L'IMPOSSIBILITA' DI REPECHAGE

Con la sentenza 20436/2016 la Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema della ripartizione degli oneri di allegazione e di prova in materia del c.d. obbligo di repechage in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

La pronuncia che si commenta segna, insieme a quelle che l'hanno preceduta nel  marzo e nel giugno dello stesso anno, un mutamento dell'orientamento della Corte sulla tematica anzidetta: il Collegio sottopone infatti a critica i propri precedenti indirizzi consolidati che ponevano in capo al datore di lavoro l’onere della prova sull'impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni differenti e in capo al lavoratore licenziato l’onere di allegare l’esistenza di specifiche posizioni alternative, ritenute disponibili e "congrue" per la sua professionalità.

Il percorso argomentativo seguito dalla Corte nella sentenza, in particolare, muove dal principio secondo cui, ai fini della valutazione della legittimità del licenziamento per gmo, il giudice deve controllare l'effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro il quale ha l'onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l'effettività delle ragioni che giustificano l'operazione di riassetto.

Spiega poi la Corte che la dimostrazione della effettività delle ragioni poste a base del licenziamento non è tuttavia sufficiente a decretarne la legittimità, essendo necessaria la prova della inutilizzabilità del lavoratore in altre posizioni equivalenti, secondo un consolidato principio giurisprudenziale che riconosce il licenziamento come extrema ratio.

Sennonchè, sul punto, la Corte rammenta che l’art. 5 della L. n. 604/1966 pone, inequivocabilmente, a carico del solo datore di lavoro l’onere probatorio circa l’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza, “con esclusione di ogni incombenza, anche in via mediata, a carico del lavoratore” (sul punto cfr. Cass. Civ. n. 4460/2015). Appare pertanto operazione logicamente e normativamente errata quella che pretende di scindere l’onere di allegazione dall'onere della prova, riservando il primo al lavoratore e il secondo  al datore di lavoro, pur trattandosi di attività strettamente connesse e complementari che, in quanto tali, dovrebbero ricadere su un unico soggetto, il datore di lavoro appunto.

Motiva ulteriormente la Corte, in via analogica, secondo i criteri civilistici che regolano i rapporti obbligatori che “come il creditore, provata la fonte legale o negoziale del proprio diritto, ha poi solo l’onere di allegare l’altrui inadempimento, mentre il debitore deve provare i fatti impeditivi, modificativi od estintivi della pretesa azionata (cfr., per tutte, Cass. S.U. 30/10/2001 n. 13533 e successiva conforme giurisprudenza), così – nel campo specifico che ne occupa – il lavoratore, creditore della reintegra, una volta provata l’esistenza d’un rapporto di lavoro a tempo indeterminato risolto dal licenziamento intimatogli, deve solo allegare l’altrui inadempimento, vale a dire l’illegittimo rifiuto di continuare a farlo lavorare oppostogli dal datore di lavoro in assenza di giusta causa o giustificato motivo, mentre su questo incombe allegare e dimostrare il fatto estintivo, vale a dire l’effettiva esistenza d’una giusta causa o d’un giustificato motivo di recesso (in tali sensi, in motivazione, vedi Cass. 13/6/2016 n. 12101). E in tale ultimo fatto estintivo (cioè nel giustificato motivo oggettivo di licenziamento) della cui prova è onerato il datore di lavoro rientra pure l’impossibilità del c.d. repêchage.”

La Cassazione completa infine il proprio ragionamento con una considerazione che è di buon senso prima che giuridica. Rileva la Corte, difatti, come il far ricadere sul lavoratore l'onere di allegazione si traduca invero in una probatio diabolica posto che, mentre il lavoratore non ha un accesso completo al quadro complessivo della situazione aziendale per verificare dove e come potrebbe essere ricollocato, il datore di lavoro ne dispone agevolmente così da avere concretamente la possibilità di far fronte all’onore di allegazione e di prova.

Anche alla luce, dunque, di tale considerazione non si può pertanto che ritenere che, ai fini della verifica della legittimità del licenziamento per gmo, sul prestatore di lavoro non incombe alcun onere, dovendo, invece, il datore di lavoro dimostrare la causa estintiva del rapporto e l’impossibilità di reimpiego.

 

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