Nessun trasferimento per chi assiste un familiare disabile

13 marzo 2017

Nessun trasferimento per chi assiste un familiare disabile, anche laddove l'assistito non versi in condizioni di salute ritenute gravi

 

Il lavoratore che fruisce dei permessi previsti dalla legge 104/1992 non può essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso, anche se il familiare assistito non versa in gravi condizioni di salute.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 25379 del 12.12.2016, dando sostanziale continuità ad un proprio precedente orientamento.

Con la sentenza in commento la Cassazione torna su un argomento già dibattuto come il trasferimento del lavoratore beneficiario dei permessi della legge 104/92.

E' tuttavia degna di nota la riaffermazione di un principio importante compiuto dalla pronuncia in funzione di tutela della persona disabile.

Per una maggior chiarezza, ripercorriamo brevemente la questione.

Con la sentenza n. 9777/2011 il Tribunale di Roma (Sezione Lavoro) rigettava la domanda proposta da una lavoratrice, titolare di permessi ex lege 104/92,volta (tra l'altro) all'accertamento dell'illegittimità e/o inefficacia di un trasferimento operato nei suoi confronti, le cui ragioni tecnico-organizzative non erano peraltro contestate.

Su appello della lavoratrice, la Corte d'Appello di Roma rigettava la domanda, in quanto, pur avendo la stessa lavoratrice dedotto la necessità di assistere un familiare (la madre) con handicap grave, non esisteva sul punto una valida documentazione in quanto tale grado di disabilità non era ancora stato accertato dalla USL attraverso le apposite commissioni mediche previste dall'art. 4 della l. n. 104/92.

Va detto però che la lavoratrice già godeva di permessi temporanei da parte dell'INPS.

La norma di riferimento, già richiamata più volte (l. 104/929) è la Legge-quadro in materia di assistenza, integrazione sociale e diritti delle persone handicappate, e prevede tutta una serie di permessi e agevolazioni di cui possono fruire sia i cittadini disabili che i parenti che li assistono.

In particolare, l'art. 33, comma quinto della legge prevede che il genitore o un altro familiare lavoratore che assista con continuità un parente entro il terzo grado handicappato e con lui convivente, abbia diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non possa essere trasferito senza consenso.

Nessun dubbio si pone quando il parente assistito versi in stato di handicap grave certificato, mentre la questione, affrontata dalla Cassazione, riguarda il caso in cui la disabilità non sia giudicata (o dimostrata) grave.

Nell'affrontare la questione della corretta interpretazione dell'art. 33, comma quinto della legge 104/92, la Cassazione accoglie la critica fatta alla Corte territoriale, di aver dato una lettura non in linea con l'evoluzione della giurisprudenza di legittimità.

Ed infatti, la Cassazione ricorda come già in altra sentenza, la n. 9201/2012, era stato affermato il principio secondo cui la norma de quo deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati, alla luce sia dell'art. 3, secondo comma Cost., che dell'art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione ONU del 13.12.2006 sui diritti dei disabili, ratificata con legge n. 18 del 2009.

Pertanto - prosegue la Suprema Corte - il trasferimento è vietato anche quando la disabilità del familiare assistito non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, pur a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, non provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte.

Secondo la Cassazione, la Corte territoriale non avrebbe dovuto fermarsi alla mancanza di documentazione proveniente dalla USL (sull'invalidità grave della madre), ma procedere invece ad una valutazione della serietà e rilevanza dell'handicap (eventualmente sulla base della documentazione comunque disponibile), a fronte delle esigenze produttive sottese al trasferimento, il che invece è stato omesso.

Se in precedenza il testo della legge 104/92 aveva dato luogo a diverse possibili interpretazioni, dopo la pronuncia in commento, in funzione di tutela della persona disabile, il trasferimento deve dunque ritenersi invalido anche quando la disabilità del familiare non si configuri come grave.

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