Soci lavoratori: nessuna deroga al trattamento retributivo previsto dal CCNL

19 dicembre 2016

Soci lavoratori: nessuna deroga al trattamento retributivo previsto dal CCNL

- Cassazione 20 settembre 2016, n. 18422 –

Con sentenza n. 18422, depositata lo scorso 20 settembre, la Corte di Cassazione ha dichiarato la nullità del regolamento di una cooperativa che conteneva disposizioni derogatorie rispetto alle condizioni di lavoro e (in particolare) ai trattamenti retributivi previsti dai contratti collettivi nazionali di categoria. Per la Suprema Corte non ci sono dubbi: al socio lavoratore spetta in ogni caso un trattamento economico complessivo non inferiore ai minimi contrattuali.

 

La vicenda prende avvio dal deposito del ricorso di due lavoratrici - socie di cooperativa - intenzionate a ottenere il pagamento delle differenze retributive conseguenti a quanto effettivamente percepito per le ore lavorate e quanto, invece, loro spettante sulla base delle 165 ore mensili previste dal contratto collettivo delle cooperative sociali.

Il ricorso, accolto in primo grado, è stato respinto dalla Corte d’Appello di Torino. Il Giudice di seconda istanza, infatti, seguendo il ragionamento prospettato dalla datrice di lavoro, ha fatto leva sull'esistenza di una specifica pattuizione individuale (mai contestata), che prevedeva la possibilità di modificare l’orario lavorativo in base alle diverse esigenze aziendali.

Da qui, il ricorso in Cassazione. Le due dipendenti, infatti, pur riconoscendo la suddetta disposizione, lamentavano la violazione dell’art. 74 del CCNL Cooperative sociali, per il mancato rispetto dei minimi retributivi, parametro contrattuale inderogabile (ovviamente solo in direzione peggiorativa) anche per i soci lavoratori. È nel quadro descritto che la Corte di Legittimità, confermando un orientamento ormai consolidato e con motivazione concisa, ha ribadito che “il regolamento non può, a pena di nullità, contenere disposizioni derogatorie in pejus rispetto ai trattamenti retributivi ed alle condizioni di lavoro previsti dai contratti collettivi” - ad eccezione del caso di crisi aziendale o di avviamento di una nuova imprenditorialità - con conseguente obbligo per le società cooperative di “corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine” (nello stesso senso, Cass. 28 agosto 2013, n. 19832 e Cass. 4 agosto 2014, n. 17583).

Ebbene, per il Collegio romano, fermo il principio descritto, la clausola contrattuale secondo la quale “la determinazione dell’orario di lavoro avviene in base alle esigenze dei Clienti e potrà essere modificata per esigenze aziendali”, non in alcun modo può essere intesa, diversamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale, nel senso peggiorativo della previsione contrattuale collettiva, con conseguente diritto delle due dipendenti ad ottenere le differenze retributive richieste.

Se non ci sono dubbi circa il dovuto rispetto dei minimi retributivi anche per i soci lavoratori, discussa rimane la questione relativa al parametro contrattuale di riferimento.  Questione, quest’ultima, finita di recente anche sul tavolo della Consulta, la quale, con con sentenza n. 51/2015, ha ritenuto “costituzionalmente legittimo prevedere per legge che i minimi di trattamento economico per i soci di cooperativa non siano inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria”, come al momento previsto dal d.l. 248/2007, convertito con l. n. 31/2008.

 

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