Secondo quanto previsto dall’art. 20 SL, il potere di convocazione delle assemblee sindacali spetterebbe esclusivamente alle Rappresentanze Sindacali Aziendali (RSA) previste dall’art. 19 SL.
Sennonché, a partire dal 1993, prima con il Protocollo del 23 luglio e poi con l’Accordo Interconfederale del 20 dicembre, i componenti delle RSU si sono affiancati ai dirigenti delle RSA nella titolarità di quanto previsto dal titolo III dello Statuto dei Lavoratori e, pertanto, il potere di indire assemblee sindacali è attualmente riconosciuto alla Rappresentanza Sindacale Unitaria (RSU). Solo qualora non siano costituite le RSU, la titolarità di indire l’assemblea rimane in capo alla/e RSA.
Una simile novità ha determinato l'insorgere di non poche problematiche di natura applicativa, soprattutto per quanto riguarda il potere di convocazione dell'assemblea sindacale: il dubbio, in particolare, è se il diritto ad indire una assemblea possa essere esercitato direttamente dal singolo componente della rappresentanza unitaria ovvero solo in maniera collegiale.
In giurisprudenza per lungo tempo sono coesistiti due diversi orientamenti: secondo il primo, la legittimazione ad indire l'assemblea andrebbe riconosciuta unicamente alla RSU, intesa come organismo collegiale e non alle singole sigle sindacali che ne fanno parte (cfr C. Cass. 26 febbraio 2002, n. 2855 e Cass. 14 ottobre 2009, n. 21783); il secondo indirizzo afferma invece che il diritto di assemblea può essere riconosciuto anche alle singole sigle sindacali che fanno parte della RSU, a patto che siano sigle dotate di adeguata rappresentatività in seno all’azienda ai sensi dell’art. 19 SL (cfr. C. Cass. n. 1892/2005, C. Cass. n. 15437/2014, C. Cass. 17458/2014).
Con la sentenza n. 13978 del 6 giugno 2017, le Sezioni Unite hanno risolto definitivamente il contrasto interpretativo, chiarendo che il diritto di convocare l’assemblea sindacale di cui all’art. 20 SL deve riconoscersi, oltre che alla RSU come organo collegiale, anche alle sue singole componenti.
La controversia che ha condotto la questione dinanzi alle Sezioni Unite è scaturita da un ricorso per condotta antisindacale ex art. 28 SL presentato da una organizzazione sindacale contro un’azienda che aveva rifiutato la richiesta di assemblea perché tale richiesta era stata avanzata da una sola componente della RSU presente in azienda, anziché dalla sua composizione unitaria.
La Corte di appello, in riforma della sentenza di primo grado, aveva accolto il ricorso della organizzazione sindacale. A seguito del ricorso in Cassazione da parte della società, con ordinanza n. 24443/2016, la Sezione Lavoro ha rilevato un contrasto giurisprudenziale e pertanto ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite. Richiamati brevemente i precedenti giurisprudenziali e analizzati i contenuti degli artt. 19 e 20 SL, nonché gli artt. 4 e 5 dell’Accordo Interconfederale del 1993, le Sezioni Unite hanno concluso per la legittimazione di indire le assemblee anche in capo al singolo membro della RSU sulla base del seguente ragionamento: dal testo dell’art. 20 SL (secondo cui “le riunioni (…) sono indette, singolarmente o congiuntamente, dalle rappresentanze sindacali aziendali nell’unità produttiva”) emerge chiaramente che la legittimazione a convocare l’assemblea sussisteva anche in capo alla singola RSA, successivamente l’Accordo Interconfederale del 1993 all’art. 5 ha stabilito che “le RSU subentrano alle RSA ed ai loro dirigenti nella titolarità dei poteri e nell’esercizio delle funzioni ad esse spettanti per effetto delle disposizioni di legge”; pertanto, alla luce del subentro delle RSU alle RSA in tutte le prerogative riconosciute a queste ultime dallo Statuto, occorre desumere l’attribuzione anche al singolo componente della RSU delle stesse prerogative minime che la legge accordava alla singola RSA e tra queste prerogative deve essere compreso anche il diritto di indire l’assemblea sindacale.
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