I c.d. "controlli difensivi" sono legittimi, ma devono essere effettuati in modo non eccessivamente invasivo e tale da garantire la libertà e dignità dei dipendenti

21 luglio 2017

I controlli (difensivi) da parte del datore di lavoro diretti ad accertare condotte illecite dei lavoratori sono generalmente legittimi a fini disciplinari, ma devono avvenire contemperando i contrapposti interessi delle parti, anche alla luce dell'art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (concernente il rispetto della vita privata e familiare).

Con la sentenza del 2.5.2017 n° 10636 (Pres. Nobile, est. Lorito) la Suprema Corte di Cassazione - Sezione Lavoro precisa i limiti posti ai c.d. "controlli difensivi". Vediamo brevemente di cosa si tratta.

L'art. 4 della legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), dopo le importanti modifiche introdotte dall'art. 23 del d.lgs. 14 settembre 2015 n. 151 (Job Act), pur non prevedendo più un esplicito divieto di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, pone una serie di regole affinché i controlli siano legittimi e/o utilizzabili in procedimenti disciplinari.

Nella vecchia formulazione della norma, che è quella presa in considerazione ratione temporis dalla Suprema Corte, i controlli a distanza erano, in linea di principio, vietati ed ammessi solo a fronte di ragioni tecniche, organizzative e produttive e necessariamente in presenza di un accordo sindacale o dell'autorizzazione dell'Ispettorato del Lavoro.

Il caso in esame esulava però dall’applicazione di questa regola, in quanto concernente i c.d. controlli difensivi, cioè quei controlli posti in essere - per lo più occultamente - dal datore di lavoro allo scopo di difendersi dalla commissione di illeciti da parte dei lavoratori. Ed era già consolidato prima del Jobs Act il principio giurisprudenziale secondo il quale tali controlli erano ammissibili ed esulavano dall'ambito di operatività dell’art. 4 vecchia formulazione.

Non potendo affrontare qui il tema delle novità introdotte sul punto dal Jobs Act, basti ricordare che l’attuale formulazione dell’art. 4 conduce a ritenere che, lungi dall’essere liberalizzati oltre i limiti già posti dalla giurisprudenza che si va ad esaminare, i controlli difensivi siano pure sottoposti, almeno in gran parte, alle regole dettate dal Codice della Privacy (tra cui, ad esempio, l’illiceità di controlli massivi ed indiscriminati).

Venendo alla vicenda affrontata dalla Corte, il dipendente di un centro commerciale veniva sorpreso a prelevare, per ben nove volte in sei giorni, dei prodotti nel reparto dolciumi.

Il datore di lavoro, affidate indagini difensive ad una ditta investigativa esterna, con delle telecamere nascoste puntate sullo scaffale oggetto degli episodi poteva riprendere i furti e, all'esito del procedimento disciplinare, licenziava il lavoratore per giusta causa.

Tralasciando altri profili del procedimento disciplinare, la Corte di Cassazione evidenzia, prima di tutto, la correttezza di alcuni rilievi fatti dalla Corte distrettuale (Corte d'Appello di Perugia):

a) la registrazione delle immagini realizzata dalla strumentazione apposta dalla società di investigazione nei locali aziendali, integrava un'ipotesi di c.d. controllo difensivo occulto, attuato con modalità non peculiarmente invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, non avendo ad oggetto l'attività lavorativa più propriamente detta ed il suo esatto adempimento;

b) siffatta tipologia di controllo, in coerenza con un consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, esulava quindi dal campo di applicazione dell'art. 4 dello statuto dei lavoratori, dovendo ritenersi assolutamente legittima e idonea a giustificare il licenziamento per giusta causa;

c) la condotta assunta dal lavoratore, che aveva reiterato la sottrazione dei prodotti in nove occasioni nell'arco di circa sei giorni, nella prospettiva dei futuri comportamenti, era tale da indurre la parte datoriale a formulare una prognosi negativa circa il futuro adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.

Precisa la Suprema Corte che i controlli difensivi sono legittimi, ma non possono assumere una portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e della riservatezza del lavoratore.

Tale opzione interpretativa è ispirata ad un equo e ragionevole bilanciamento fra le disposizioni costituzionali che garantiscono il diritto alla dignità e libertà del lavoratore nell'esercizio delle sue prestazioni e al diritto, anche come cittadino al rispetto della sua persona (artt. 1, 3, 35 e 38 Cost.), ed al libero esercizio della attività imprenditoriale (art. 41 Cost..

Da ultimo, merita di essere evidenziato - per la ricaduta che ha - che la legittimità dei controlli in relazione ad illeciti non attinenti al mero inadempimento della prestazione lavorativa, ma incidenti sul patrimonio aziendale, non devono necessariamente presupporre violazioni già commesse, essendo sufficiente anche il mero sospetto o la mera ipotesi che siano in corso di esecuzione.

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