Il dovere di diligenza del lavoratore non impone di rendere prestazioni accessorie fuori dall'orario di lavoro

27 ottobre 2017

Con la sentenza n. 23178/2017, pronunciata nell’ambito di un contenzioso relativo all'impugnazione di una sanzione disciplinare conservativa, la Corte di Cassazione ha affrontato il tema della esigibilità da parte del datore di lavoro di prestazioni, pur accessorie rispetto alla principale, in tempi che eccedono l'orario di lavoro ed ha negato che il dovere di diligenza del lavoratore comprenda l’obbligo di rendere prestazioni accessorie da svolgersi fuori dell’orario di lavoro.

Come noto, il rapporto di lavoro fa sorgere in capo al lavoratore numerosi obblighi, tra cui il dovere di diligenza, disciplinato dall'articolo 2104 c.c., che rappresenta per così dire la misura della prestazione dovuta, imponendo al lavoratore di utilizzare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione lavorativa.

Quanto ai limiti di tale dovere, la giurisprudenza di legittimità ha specificato che il lavoratore è tenuto non solo alla c.d. diligenza in senso tecnico, ovvero all’esecuzione della prestazione lavorativa secondo la natura della stessa, ma anche a tutti quei comportamenti integrativi che consentono al datore di lavoro la piena utilizzazione della prestazione.

Ciò posto, però, non integra violazione del dovere di diligenza l’omissione, da parte del lavoratore, di una condotta che non sia prevista tra quelle contrattualmente dovute né comunque risulti, ai fini della esecuzione più utile della prestazione di lavoro, ad esse complementare o accessoria (C. Cass. n. 1978/2016), a maggior ragione se tale prestazione è richiesta al di fuori dell’orario di lavoro.

Tale è, in effetti, il caso affrontato dalla sentenza qui in commento: un lavoratore, nel giorno in cui il proprio datore di lavoro comunicava ai dipendenti di aver reso disponibili alcune circolari di servizio contenenti istruzioni necessarie allo svolgimento della prestazione lavorativa, era assente per permesso sindacale e quindi, non potendo apprendere il contenuto di tali circolari fino al suo rientro a lavoro, comunicava all’azienda che non appena fosse rientrato e prima di iniziare il turno assegnatogli si sarebbe recato presso la sede aziendale per ritirare le circolari anzidette.

Il datore di lavoro procedeva a sanzionare il lavoratore in quanto egli, in esecuzione dei propri obblighi di diligenza ed obbedienza, avrebbe dovuto prendere visione delle circolari in questioni già durante il periodo di fruizione del permesso sindacale e ciò, in particolare modo, tenuto conto che la documentazione era stata resa disponibile presso la sede ove si erano tenuti anche gli incontri sindacali cui il dipendente aveva partecipato. In sostanza, l’azienda pretendeva che il lavoratore interrompesse il suo permesso sindacale per aggiornarsi sul contenuto delle circolari aziendali.

Se in primo e secondo grado i giudici hanno recepito la tesi datoriale, confermando la sanzione di due giorni di sospensione inflitta al dipenderne, la Suprema Corte, nella sentenza in commento, ha invece accolto il ricorso di quest’ultimo ed ha sancito l’illegittimità della sanzione stessa: nel merito, la Corte ha ritenuto che la lettura delle circolari fosse propedeutica alla regolare esecuzione del servizio (anche ai fini della sicurezza) per cui doveva considerarsi a tutti gli effetti come attività lavorativa e, come tale, circoscritta all’orario di lavoro.

Viceversa, l’azienda aveva preteso l’adempimento da parte del lavoratore dell’ordine di aggiornamento non solo al di fuori dell’orario di lavoro, ma addirittura durante la fruizione di un diritto sindacale con la conseguenza che, non potendosi limitare l’esercizio del diritto sindacale, il lavoratore sarebbe stato costretto a leggere le circolari prima di iniziare il proprio turno, quindi al di fuori dell’orario di lavoro e ciò secondo i giudici di legittimità rappresentava una pretesa eccessiva, che esulava il criterio dell’ordinaria diligenza normalmente richiesta nell’esecuzione del lavoro.


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