Con la sentenza dell'8 luglio 2019, n. 18282 la Cassazione ha precisato che l’entità del risarcimento in caso di licenziamento illegittimo deve essere quantificata in relazione alla prevedibilità del pregiudizio.
Il caso sottoposto all’attenzione della Corte riguardava, in particolare, un lavoratore invalido licenziato illegittimamente e perciò reintegrato dal Giudice di primo grado. Quest'ultimo aveva altresì riconosciuto al lavoratore un risarcimento del danno ex art. 18 St. Lav. in misura pari alle retribuzioni maturate dal momento del recesso (gennaio 2007) sino alla sentenza (novembre 2014).
La Corte di Appello aveva tuttavia riformato in parte qua la pronuncia del primo grado, riducendo il risarcimento del danno alle retribuzioni maturate nei 4 anni successivi al recesso poi accertato come illegittimo.
Tale riduzione era stata motivata dal Collegio di appello sulla base di un giudizio di probabilità del verificarsi del danno futuro fondato su due considerazioni: sulla stima in circa due anni del tempo medio necessario ad un invalido civile iscritto nelle apposite liste per essere avviato al lavoro e sulla mancanza di dati ulteriori quanto alle eventuali offerte di avviamento.
La Suprema Corte, adita dal lavoratore, ha confermato tale statuizione affermando che:
“In tema di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, l'imprevedibilità, alla quale fa riferimento l'art. 1225 c.c., costituisce un limite non all'esistenza del danno, ma alla misura del suo ammontare, che resta limitato a quello astrattamente prevedibile in relazione ad una determinata categoria di rapporti, sulla scorta delle regole ordinarie di comportamento dei soggetti economici e, quindi, secondo un criterio di normalità in presenza delle circostanze di fatto conosciute”;
“considerato che l'illegittimo licenziamento è fonte di responsabilità contrattuale e non extracontrattuale, deve aversi riguardo alla prevedibilità dei danni conseguenti all'illegittimità del recesso, costituendo quello della prevedibilità un parametro di legge, in quanto tale oggetto di valutazione da parte del giudice del merito”;
La Corte ha dunque concluso confermando la correttezza della motivazione del giudice del gravame in relazione alla valutazione delle conseguenze dell'inadempimento datoriale, in quanto coerente con i principi di diritto in tema di responsabilità contrattuale, rilevando come tali principi, se da una parte generano una presunzione di imputabilità al debitore, dall'altra non ne determinano una responsabilità per danni al di là di quelli prevedibili dal punto di vista della sussistenza di un nesso causale secondo un criterio di ragionevole derivazione dal comportamento inadempiente.
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