La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 27201/2018, nell’affrontare una controversia concernente la legittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo riconducibile all’inidoneità sopravvenuta alla prestazione lavorativa, ha affermato il principio secondo il quale, al fine della legittimità del licenziamento, il parere espresso dal medico competente sull'inidoneità fisica del dipendente a svolgere le mansioni assegnategli non è decisivo: è infatti sempre possibile verificare l'attendibilità di tale valutazione tramite il sindacato giudiziale, sino a poterne ribaltare l'esito qualora contrastante con le risultanze emerse dalla consulenza medico-legale richiesta dal giudice.
Come noto, secondo quanto previsto dal D. Lgs. N. 81/2008, il lavoratore è tenuto a sottoporsi periodicamente alle visite di controllo effettuate dal medico aziendale al fine di verificare che egli sia idoneo a svolgere la specifica mansione assegnatagli. Avverso i giudizi del medico competente è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all'organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso.
In particolare, può capitare che il lavoratore sia considerato idoneo, idoneo con limitazioni o inidoneo alla mansione specifica.
In tale ultimo caso, il datore di lavoro deve adibire il lavoratore, ove possibile, ad altra mansione equivalente, superiore o inferiore compatibile con il suo stato di salute, con diritto alla conservazione della retribuzione corrispondente alle mansioni precedenti.
Solo nel caso in cui ciò non sia possibile il datore di lavoro può legittimamente licenziare il proprio dipendente per sopravvenuta inidoneità fisica.
La giurisprudenza ritiene tuttavia che “il lavoratore, licenziato dal datore di lavoro a seguito dell'accertamento di inidoneità da parte del medico, può in ogni caso impugnare il licenziamento contestando l'accertamento ed al giudice del lavoro è rimesso il sindacato sulla correttezza del giudizio espresso, anche disponendo consulenza tecnica d'ufficio” (cfr. Corte appello Bari, 15 luglio 2003).
Nel caso di specie, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di un licenziamento intimato ad una lavoratrice risultata inidonea allo svolgimento di attività di impiegata amministrativa addetta a videoterminale. I giudici di merito, in particolare la Corte di appello, avevano ritenuto illegittimo il licenziamento in quanto dalle CTU effettuate nelle diverse fasi del giudizio era emerso che, diversamente da quanto ritenuto dal medico aziendale, la lavoratrice fosse in realtà idonea alle mansioni svolte.
La Corte distrettuale aveva poi osservato che, poiché il recesso per inidoneità fisica risulta particolarmente pregiudizievole per il lavoratore, lo stesso può ritenersi legittimo solo nel caso in cui, al termine di una rigorosa verifica, venga esclusa la possibilità di adibire il lavoratore stesso a mansioni compatibili con le sue residue capacità lavorative, mentre non può ritenersi sufficiente a decretare l'impossibilità della prestazione lavorativa la sola incapacità di eseguire le attività normalmente svolte dal dipendente, allorquando lo stesso possa essere adibito ad “altre attività riconducibili alle mansioni assegnate o equivalenti o inferiori, purché utilizzabili dall'impresa”.
Avverso tale decisione, la società proponeva ricorso per cassazione, osservando che la consulenza medica avrebbe dovuto essere condotta anche in relazione alle risultanze formate dal medico aziendale all'esito della visita e degli esami diagnostici e strumentali dallo stesso svolti. A tal riguardo, il datore di lavoro lamentava la mancata acquisizione agli atti della predetta documentazione, non avendo la società potuto produrre la cartella medica con il proprio atto di costituzione in giudizio, in quanto impedita dalle norme sulla tenuta e custodia della stessa da parte del medico competente.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha evidenziato come “non assuma alcuna decisività la circostanza attinente alla produzione o mancata produzione della cartella del medico aziendale, essendo la stessa inidonea a modificare l'esito del giudizio a fronte delle risultanze concordi delle plurime consulenze tecniche d'ufficio”.
Pertanto, in linea con il proprio consolidato orientamento, i giudici di ultima istanza hanno confermato l'illegittimità del licenziamento per manifesta insussistenza del motivo posto a suo fondamento. Il rigetto del primo motivo, ha poi proseguito la Corte, rende superfluo l’esame del secondo attinente alla prova, comunque non fornita nel caso qui in esame, dell’impossibilità di adibire la lavoratrice a mansioni equivalenti e compatibili.
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