Nella pronuncia in esame, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 12 giugno 2017, n. 14564, si sofferma sui requisiti per l’esistenza di una giusta causa di licenziamento. In particolare, i giudici di legittimità hanno ribadito che la giusta causa di licenziamento presuppone una condotta che abbia il carattere di “grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, per la precisione, di quello fiduciario” ma che, tra più episodi rilevanti sul piano disciplinare, il recesso può essere giustificato anche solo da alcuni di questi episodi.
Pertanto, occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, però il Giudice ha il potere di individuare solo in alcuni degli addebiti contestati al lavoratore il comportamento che giustifica la sanzione espulsiva.
Nel caso di specie, il Direttore di una filiale di banca, in violazione della disciplina aziendale in tema di concessione di fidi, aveva trasferito più di 27 conti corrente presso un’altra sede senza il consenso dei clienti. La Banca contestava pertanto al dipendente vari episodi e, all’esito della procedura disciplinare, irrogava al proprio dipendente il licenziamento per giusta causa.
Dopo essere risultato soccombente in primo ed in secondo grado, il lavoratore proponeva quindi ricorso per cassazione censurando la sentenza della Corte d'Appello, in particolare per avere arbitrariamente isolato alcuni fatti nel coacervo di una contestazione dal contenuto molto più ampio e per averne esaminato solo una parte per la formulazione del giudizio di gravità di cui all’art. 2119 c.c.
In merito, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di appello, ritenendo che, in tema di licenziamento per giusta causa, quando vengano contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, pur dovendosi escludere che il giudice di merito possa esaminarli atomisticamente, attesa la necessaria considerazione della loro concatenazione ai fini della valutazione della gravità dei fatti, non occorre che l'esistenza della "causa" idonea a non consentire la prosecuzione del rapporto sia ravvisabile esclusivamente nel complesso dei fatti ascritti, ben potendo il Giudice - nell'ambito degli addebiti posti a fondamento del licenziamento dal datore di lavoro - individuare anche solo in alcuni o in uno di essi il comportamento che giustifica la sanzione espulsiva, se lo stesso presenti il carattere di gravità richiesto dall'art. 2119 c.c. (nel medesimo senso si veda C. Cass. n. 2821/2017, C. Cass. n. 11987/2016, C. Cass. n. 24574/2013, C. Cass. n.2579/2009).
Inoltre, prosegue la Corte, il giudizio di gravità della condotta e di proporzione della sanzione risolutiva rispetto ai fatti contestati deve essere operato con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all'intensità dell'elemento intenzionale o di quello colposo (cfr C. Cass. n. 1977/2016, C. Cass. n. 1351/2016, C. Cass. n. 12059/2015, C. Cass. n. 25608/2014). Ed in proposito è stato precisato che, al fine di ritenere integrata la giusta causa di licenziamento, non è necessario che l'elemento soggettivo della condotta del lavoratore si presenti come intenzionale o doloso, nelle sue possibili e diverse articolazioni, posto che anche un comportamento di natura colposa, per le caratteristiche sue proprie e nel convergere degli altri indici della fattispecie, può risultare idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario così grave ed irrimediabile da non consentire l'ulteriore prosecuzione del rapporto ( cfr. C. Cass. n. 13512/2016, C. Cass. n. 5548/2010).
Nel caso in esame, la qualifica di Direttore di filiale rivestita dal lavoratore licenziato comportava la conoscenza ovvero la conoscibilità delle disposizioni limitative aziendali e, ad un tempo, rendeva particolarmente pregnante l'elemento fiduciario, per cui la condotta dello stesso è stata legittimamente ritenuta così grave da giustificare l’immediata risoluzione del rapporto di lavoro.
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