Il Tribunale di Milano, Sezione Lavoro in continuità con una consolidata giurisprudenza, ribadisce che, nel caso di procedimento disciplinare sfociato in licenziamento, la non immediatezza della contestazione, laddove vi siano fondate ragioni che possano cagionare ritardo - quali il tempo necessario all'accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell'impresa - deve essere motivata dal datore di lavoro.
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Accade con notevole frequenza che i provvedimenti disciplinari irrogati dal datore di lavoro vengano dichiarati illegittimi per varie ragioni.
Nell’esaminare le condizioni per un corretto esercizio del potere disciplinare è molto utile operare una netta distinzione tra requisiti “sostanziali” e requisiti “procedimentali”, con l’avvertenza che si tratta, in entrambi i casi, di presupposti essenziali, nel senso che la mancanza anche di uno solo di essi può comportare la nullità della sanzione.
Il potere disciplinare attribuito al datore di lavoro trova il suo fondamento nell’art. 2106 del codice civile, secondo cui l’inosservanza degli obblighi di diligenza e di fedeltà (sanciti rispettivamente dagli artt. 2104 e 2105 del cod. civ.) “può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione”, espressione che rappresenta la consacrazione testuale di un fondamentale principio “sostanziale”, ovvero quello della “proporzionalità” (tra infrazione e sanzione).
Ma se al primo posto fra i presupposti sostanziali v’è la fondatezza del fatto addebitato, non meno importanti sono come detto i requisiti “procedimentali” che sono stati introdotti dall’art. 7 dello Statuto del Lavoratori.
E’ notazione comune come tale disposizione abbia sottoposto il potere disciplinare ad un “procedimento” idoneo a garantire adeguatamente al lavoratore il proprio diritto di difesa.
Tra i molti requisiti previsti v’è la preventiva “contestazione” dell’addebito.
Si tratta di una imprescindibile esigenza (mutuata dal diritto penale): se devo esser messo in condizione di difendermi devo prima sapere di cosa sono accusato.
Ma ciò non basta, perché la contestazione deve avere alcune caratteristiche anch’esse strettamente funzionali al diritto di difesa: “tempestività,” “specificità” e “immutabilità”.
Cogliendo l'occasione offertaci dall'ordinanza n. 5174/2019 del 21.02.2019 della Suprema Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, parliamo oggi della "tempestività" della contestazione, per ricordare come tale caratteristica non debba essere considerata in senso assoluto, ma relativo.
Cerchiamo di spiegarci meglio.
Vi sono ipotesi nelle quali la scorrettezza di un comportamento è immediatamente percepibile ed altri nei quali l’accertamento e la conseguente valutazione dei fatti richiede uno spazio temporale più ampio.
Laddove la mancanza è immediatamente percepibile non vi sono ragioni plausibili per ritardare la contestazione, ritardo che andrebbe unicamente a detrimento del diritto di difesa del lavoratore, il quale (a maggior ragione per mancanza lievi) potrebbe non ricordare bene i fatti.
Volendo fare esempi tratti dalla realtà, possiamo distinguere il caso del lavoratore che entra in ritardo (circostanza facilmente desumibile anche dalla timbratura) dal caso del portiere di notte di un albergo che ne approfitta per fare delle telefonate private (non essendo così immediatamente percepibile la mancanza, occorrerà attendere i tabulati telefonici).
V'è poi da tutelare il legittimo affidamento del lavoratore sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto "incriminabile", stante la facoltatività nell'esercizio del potere disciplinare.
Altro caso nel quale è tollerato un certo spazio temporale è dato dalla complessità della struttura organizzativa dell’impresa.
La regola desumibile dall’art. 7 della L. n. 300 del 1970, secondo cui l’addebito deve essere contestato immediatamente, va intesa dunque in un’accezione relativa, ossia tenendo conto delle ragioni oggettive che possono ritardare la percezione o il definitivo accertamento e valutazione dei fatti contestati (da effettuarsi in modo ponderato e responsabile anche nell’interesse del lavoratore a non vedersi colpito da incolpazioni avventate), anche quando ad esempio il comportamento del lavoratore consista in una serie di fatti che, convergendo a comporre un’unica condotta, esigono una valutazione ordinaria, di modo che anche l’intimazione di un licenziamento potrà seguire l’ultimo di questi fatti, anche a una certa distanza temporale da quelli precedenti.
Di uno di questi casi specifici si è in tempi relativamente recenti occupato il Tribunale di Milano - Sezione Lavoro, nella sentenza n. 1931 del 22.08.2019, rilevando come l'azienda avesse immotivatamente ritardato di oltre un anno e mezzo dopo la chiusura di complesse indagini, la contestazione dell'addebito che aveva condotto al licenziamento. il Giudice ha ritenuto fondata l'eccezione della tardività non avendo saputo spiegare l'azienda come mai aveva ritardato tanto la contestazione.
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