Il lavoratore ha diritto all’indennità sostitutiva del preavviso anche nel caso in cui, dopo il licenziamento, trova immediatamente occupazione.
Come noto, il datore di lavoro può intimare il licenziamento, e dunque recedere dal rapporto di lavoro, solo per giustificato motivo o per giusta causa. Nel primo caso, il datore è tenuto a dare un preavviso, cioè a comunicare la propria decisione con anticipo rispetto al momento in cui essa spiega il proprio effetto. In tale periodo il lavoratore ha diritto a continuare a lavorare ed a percepire la retribuzione. Ove il datore di lavoro, invece, ometta di dare il preavviso, al lavoratore è dovuta l’indennità sostitutiva, pari alle retribuzioni che avrebbe maturato lavorando. La funzione del preavviso e dell’indennità sostitutiva è quella di evitare che la risoluzione immediata del contratto possa determinare un maggiore pregiudizio al lavoratore, consentendogli nel frattempo la ricerca di un diverso impiego.
Proprio in base a tale funzione, è stato posto in dubbio che il preavviso spetti al lavoratore che abbia iniziato un diverso rapporto di lavoro immediatamente dopo aver subito il licenziamento e che, dunque, non sia rimasto un solo giorno senza lavorare. Tale fattispecie si verifica spesso nelle ipotesi di cambio appalto, quando il nuovo appaltatore riassume il personale già addetto dal precedente appaltatore.
La Cassazione, con la recente sentenza n. 24429/2015, ponendosi in linea con l’orientamento maggioritario, ha ritenuto che il datore di lavoro sia comunque tenuto al preavviso o al pagamento dell’indennità sostitutiva anche in favore del lavoratore che inizi immediatamente un nuovo impiego.
Il giudizio riguardava proprio un lavoratore licenziato per la cessazione dell’appalto in cui prestava opera e riassunto dal nuovo appaltatore sin dal giorno successivo.
L'impresa cessante, assumendo a proprio favore la circostanza che il lavoratore aveva proseguito normalmente la propria attività lavorativa con la nuova impresa subentrante, riteneva non sussistente l'obbligo di dover corrispondere il preavviso o l'indennità sostitutiva.
Il lavoratore si rivolgeva dunque al Tribunale,chiedendo il pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso. Il Tribunale accoglieva la sua domanda con sentenza poi confermata dalla Corte d’Appello.
L'impresa, non soddisfatta della decisione dei Giudici di primo e secondo grado, proponeva ricorso in Cassazione.
La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha posto fine alla lite, definitivamente rigettando il ricorso dell'impresa. La Corte ha affermato che, ove il lavoratore sia licenziato e poi riassunto da altro soggetto, anche nel caso in cui di fatto prosegua nel corso dei due rapporti la stessa attività presso lo stesso committente, non vi è però continuità del rapporto di lavoro. Il rapporto che l'impresa subentrante stipula con il lavoratore, infatti, è nuovo rispetto a quello cessato. Conseguentemente, non vi sono ragioni per non riconoscere il preavviso o l'indennità sostitutiva.
Solo per completezza si precisa che, invece, l’obbligo di preavviso non sussiste, oltre che nel caso di licenziamento per giusta causa, nelle seguenti ipotesi: licenziamento durante o al termine del periodo di prova; risoluzione consensuale del rapporto; mancata ripresa del servizio a seguito dell’ordine di reintegrazione.
La durata del preavviso è stabilita dai contratti collettivi e generalmente varia a seconda della categoria dei lavoratori (operai o impiegati), del livello di inquadramento, dell’anzianità e, a volte, anche a seconda che si tratti di licenziamento o di dimissioni.
Pure il lavoratore, infatti, salvo che si dimetta per giusta causa, è tenuto a dare il preavviso ed a prestare opera nel periodo corrispondente, altrimenti sarà egli stesso a dover corrispondere al datore l’indennità sostitutiva del preavviso (che in tali casi è solitamente trattenuta dalla liquidazione delle competenze di fine rapporto).
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