Intempestività della contestazione disciplinare
19 dicembre 2019
Con la sentenza n. 28926 del 08.11.2019, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul principio dell’immediatezza della contestazione disciplinare ribadendo il proprio conforme orientamento secondo il quale detto principio mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da permettergli l’allestimento del materiale difensivo per poter contrastare efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore di lavoro – in relazione al carattere facoltativo dell’esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore i lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede – sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile (fra le tante anche Cass. n. 13167/2009).
La Suprema Corte ha altresì precisato che il criterio dell’immediatezza deve essere inteso in senso relativo, poiché si deve tenere conto delle ragioni che possono fare ritardare la contestazione, tra le quali il tempo necessario per il compimento delle indagini dirette ad accertare i fatti e la complessità dell’organizzazione aziendale.
Alla luce di quanto sopra la Cassazione ha confermato la sentenza della Corte di appello che aveva ritenuto tardiva la contestazione disciplinare in relazione agli addebiti mossi al lavoratore concernenti il ripianamento dell’ammanco di cassa e la svendita di pallet, osservando come, essendo stato informato di entrambi i fatti l’area manager, e cioè la figura apicale dell’azienda nel punto vendita, era da ritenere che la datrice di lavoro ne avesse avuto piena ed immediata conoscenza e ciò anche sul rilievo – conforme a consolidato principio di diritto (Cass. n. 1567/2004; Cass., n. 9894/1993) – che il ritardo nella contestazione dell’addebito non può essere giustificato dal fatto che i diretti superiori gerarchici del lavoratore abbiano omesso di riferire tempestivamente agli organi titolari del potere disciplinare in ordine all’infrazione posta in essere dal dipendente.
Sulla base di quanto sopra la Cassazione ha confermato l’illegittimità del licenziamento che era stato irrogato al lavoratore confermando l’applicabilità della tutela di cui al 4° comma, dell’art. 18, L. 300/1970, come ritenuto dalla Corte di Appello che aveva correttamente richiamato ed applicato il principio, per il quale l’insussistenza del fatto contestato, di cui all’art. 18 della L. 300/1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, della L. n. 92/2012 “comprende l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, sicché in tale ipotesi si applica la tutela reintegratoria, senza che rilevi la diversa questione della proporzionalità tra sanzione espulsiva e fatto di modesta illiceità” (Cass. n. 20540/2015, conformi, fra le tante Cass. n. 18418/2016; n. 1132/2018)
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