La clausola del contratto di lavoro a tempo parziale che prevede in modo generico la collocazione temporale dell’orario di lavoro è nulla

03 ottobre 2018

Il rapporto di lavoro a tempo parziale, come noto, si caratterizza per un orario, stabilito dal contratto individuale di lavoro, inferiore rispetto a quello normale (full-time) previsto dalla legge e dalla contrattazione per i lavoratori a tempo pieno. Ecco perché nel contratto di lavoro, secondo quanto previsto dall’art. 5 commi 2 e 3 del D. Lgs. N. 81/2015, il datore di lavoro ha l’obbligo di indicare puntualmente la durata della prestazione lavorativa, nonché la collocazione temporale della stessa con riferimento al giorno, alla settimana, al mese ed all’anno. Nel caso in cui la prestazione sia articolata in turni di lavoro, tale indicazione può avvenire anche mediante rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite.

Trattasi di una previsione di fondamentale importanza perché permette al lavoratore di conoscere con precisione quando doversi tenere a disposizione del datore di lavoro e ciò al fine di poter attendere, nel tempo restante, alle proprie occupazioni di carattere personale ovvero per poter reperire una diversa attività lavorativa: il rapporto di lavoro a tempo parziale, infatti, si distingue da quello a tempo pieno proprio per il fatto che, in dipendenza della riduzione quantitativa della prestazione lavorativa (e, correlativamente, della retribuzione), “lascia al prestatore d'opera un largo spazio per altre eventuali attività, la cui programmabilità, da parte dello stesso prestatore d'opera, deve essere salvaguardata, anche all'ovvio fine di consentirgli di percepire, con più rapporti a tempo parziale, una retribuzione complessiva che sia sufficiente (art. 36, primo comma, della Costituzione) a realizzare un'esistenza libera e dignitosa” (in tal senso si è espressa, tra le prime, C. Cost. n. 210/1992).

Di conseguenza, la stipulazione di un contratto di lavoro a tempo parziale senza la puntuale indicazione della distribuzione dell'orario di lavoro comporta la nullità parziale del contratto, anche se solo limitatamente alla clausola viziata, con conseguente diritto del lavoratore ad ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla riduzione del suo tempo libero (cfr. C. Cass. n. 27553/2016; C. Cass. n. 4229/2016).

Alle medesime conclusioni è di recente giunto anche il Tribunale di Milano che, con sentenza n. 1201 del 1/6/2018, ha ribadito la nullità parziale della clausola del contratto a tempo parziale che prevede in modo generico la collocazione temporale dell’orario di lavoro e che, in tal caso, spetta al Giudice stabilire l’orario di lavoro, nonché condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno.

La causa traeva origine dal ricorso con il quale una lavoratrice lamentava di esser stata assunta con orario part-time con clausola del seguente tenore: “al 50% per 20 ore settimanali (dal martedì al sabato per le settimane senza domeniche lavorative e dal mercoledì alla domenica per le settimane con domeniche lavorative), distribuito su cinque giorni con orario pattuito di quattro ore giornaliere collocate nelle ultime quattro ore di apertura del punto vendita”. Nella realtà, però, la lavoratrice era chiamata a prestare opera per un orario completamente differente da quello pattuito, se non addirittura superiore.

Il Tribunale, richiamata la normativa vigente ratione temporis, ha evidenziato come la puntuale e specifica indicazione della durata della prestazione lavorativa abbia lo scopo di consentire al lavoratore a tempo parziale di “pienamente utilizzare il tempo estraneo al lavoro al fine di soddisfare le sue esigenze di vita, di reddito da altro lavoro, di cura familiare e ovviamente anche di svago e di recupero delle energie psico-fisiche”. Ecco perché, in tale prospettiva, la predeterminazione dell’orario di lavoro deve essere effettiva perché, viceversa, le finalità sopra elencate risulterebbero frustrate e si finirebbe per richiedere al lavoratore un impegno di portata superiore alla previsione contrattuale, pregiudicando la sua possibilità di gestione del tempo di non-lavoro.

Ebbene, nel caso in esame, la determinazione dell’orario di lavoro, oltre ad essere sistematicamente disattesa, è stata ritenuta anche generica sotto un duplice profilo: sia per l’impossibilità di predeterminare le “settimane con domeniche lavorative”, sia per la genericità della determinazione dell’orario di lavoro (essendo unicamente previsto nelle “ultime quattro ore di apertura del punto vendita”). Il Giudice pertanto ha dichiarato la nullità della clausola di determinazione dell’orario part-time, provvedendo a determinare, nella sentenza stessa, l’orario di lavoro della ricorrente e condannando la datrice di lavoro al risarcimento del danno subito dalla lavoratrice.

Archivio news

 

News dello studio

apr21

21/04/2020

Quando un reato commesso prima dell’inizio del rapporto può giustificare un licenziamento

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3076/2020, del 10.02.2020, rifacendosi ad un suo precedente orientamento (Cass. n. 24259/2016), ha confermato il principio secondo cui, in caso di condotta extra-lavorativa

apr7

07/04/2020

Il diritto alla qualifica superiore spetta anche in caso di conferimento frazionato ma sistematico delle mansioni corrispondenti

La Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 1556 del 23 gennaio 2020, ha affermato che la reiterata e sistematica assegnazione del lavoratore a mansioni superiori, pur se frazionata e non continuativa,

mar26

26/03/2020

Al verificarsi di un infortunio non si può supporre automaticamente l'inadeguatezza delle misure di protezione

Il datore di lavoro non risponde dell'infortunio del dipendente se dimostra di aver fornito i dispositivi di protezione individuale del caso, di aver adeguatamente istruito il dipendente sui rischi specifici

News Giuridiche

mag9

09/05/2025

Cassa Forense, avanzo di bilancio al 2024

Cifre, prestazioni, costi e quote: l’importo

mag9

09/05/2025

Detenzione abusiva di arma da sparo: occorre l'autonoma disponibilità da parte dell'agente

Per la configurabilità del reato è necessaria