IL LAVORATORE DEQUALIFICATO NON PUO' RIFIUTARE APRIORISTICAMENTE LA PRESTAZIONE RICHIESTAGLI SENZA L'AVALLO GIUDIZIARIO
Di recente la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della delicata tematica del demansionamento e della legittimità del rifiuto della prestazione lavorativa da parte del lavoratore che ritenga di essere stato demansionato, affermando in particolare che questi non possa rifiutarsi di eseguire la prestazione lavorativa richiestagli, almeno finché non sia un Giudice ad aver accertato il demansionamento.
Come noto, all’indomani del c.d. Jobs Act (che ha profondamente modificato l’art. 2103 cc), in corso di rapporto il lavoratore può essere adibito a mansioni diverse da quelle per le quali è stato assunto, purché le stesse siano riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte oppure corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito.
Il demansionamento quindi è ancora generalmente vietato in quanto lesivo della professionalità acquisita dal lavoratore, tranne che in due casi: qualora vi sia una modifica degli assetti organizzativi aziendali tale da incidere sulla posizione del lavoratore oppure in specifiche ipotesi previste dai contratti collettivi. In entrambi i casi, comunque, il lavoratore può essere assegnato un solo livello di inquadramento inferiore a patto però che rientri nella stessa categoria legale. Occorre poi tener presente che, per il principio di irriducibilità della retribuzione, il lavoratore ha diritto di conservare il trattamento retributivo riconosciutogli prima dell’assegnazione a mansioni inferiori, con la sola eccezione di quegli elementi retributivi strettamente connessi alla mansione disimpegnata. Un’altra, distinta, ipotesi è quella del demansionamento per accordo tra le parti per cui le stesse possono sottoscrivere un accordo in una sede “protetta” (es. in sede sindacale o in DTL) decidendo di modificare le mansioni, la categoria legale, il livello di inquadramento ed anche la retribuzione, ma una simile modifica è legittima solo se motivata da un rilevante interesse del lavoratore rientrante in una delle seguenti ipotesi: conservazione dell’occupazione, miglioramento delle condizioni di vita del lavoratore ed acquisizione di una diversa professionalità.
Se il datore di lavoro adibisce il lavoratore a mansioni inferiori in ipotesi diverse da quelle sopra riportate, un simile demansionamento deve considerarsi illegittimo, ma in tale ipotesi si pone il problema della legittimità del rifiuto da parte del lavoratore di svolgere mansioni considerate dequalificanti.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 831/2016, ha ribadito il proprio orientamento secondo cui il rifiuto da parte del lavoratore di svolgere le nuove mansioni è legittimo solo se rappresenta una reazione proporzionata all’illegittimo comportamento del datore di lavoro e conforme a buona fede (cfr. C. Cass. N. 1693/2013; C. Cass. N. 3304/2008).
Nel caso di specie, un dipendente si era rifiutato di svolgere una mansione con modalità cui riteneva essere inabile e per tale motivo gli era stata contestata l’insubordinazione e gli era stato conseguentemente irrogato il licenziamento per giusta causa.
Secondo quanto stabilito dalla Corte il lavoratore che venga adibito a mansioni non rispondenti alla corretta qualifica può chiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell'ambito della qualifica di appartenenza, ma non può rifiutarsi aprioristicamente, senza cioè un accertamento giudiziario, di eseguire la prestazione richiestagli, essendo egli tenuto a osservare le disposizioni per l'esecuzione del lavoro impartite dall'imprenditore ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c. e potendo invocare l'art. 1460 c.c. solo in caso di totale inadempimento del datore di lavoro.
In sostanza, il rifiuto del lavoratore di adempiere alla propria prestazione può ritenersi giustificato soltanto di fronte ad un inadempimento altrettanto grave, di carattere totale, da parte del datore di lavoro mentre un inadempimento parziale, come quello relativo ad una illegittima assegnazione di mansioni, non può giustificare un rifiuto totale della prestazione lavorativa. In altri termini, non può il lavoratore rendersi totalmente inadempiente sospendendo ogni attività lavorativa se il datore di lavoro assolve a tutti gli altri propri obblighi (come per es. pagamento della retribuzione, copertura previdenziale e assicurativa, assicurazione del posto di lavoro), potendo una parte rendersi totalmente inadempiente ed invocare l'art 1460 c.c.. soltanto se l'altra parte è totalmente inadempiente e non anche quando vi sia controversia solo su di una delle obbligazioni facenti capo ad una delle parti, obbligazione peraltro non incidente sulle immediate esigenze vitali del lavoratore.
Proprio per questo motivo, conclude la Corte, è preferibile che il lavoratore, pur manifestando il proprio dissenso in ordine alla assegnazione della nuova mansione, esegua l'ordine impartito dal datore di lavoro, provvedendo al più presto a far accertare in sede giudiziaria la dequalificazione subita.
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