LICENZIAMENTO COLLETTIVO: ILLEGITTIMO SE IL CRITERIO UTILIZZATO È DEL TUTTO GENERICO
Con la sentenza n. 23100, pubblicata l’11 novembre 2016, la Corte di Cassazione è intervenuta in merito alla legittimità di un licenziamento collettivo nell’ipotesi in cui l’azienda e le OO.SS. individuino un criterio di scelta convenzionale eccessivamente generico ed indeterminato.
Come noto, in tema di selezione del personale da licenziare, il nocciolo della regolamentazione è rappresentato dall’art. 5 della L. n° 223/1991, il quale distingue due tipi di criteri di scelta: quelli contrattuali, affidati all’autonomia collettiva e formalizzati in un accordo sindacale, e quelli legali (esigenze tecnico-produttive, carichi di famiglia ed anzianità), elencati tassativamente dal legislatore ed aventi un ruolo meramente residuale.
I criteri di scelta, sia quelli convenzionali sia quelli legali, hanno lo scopo di ridurre al minimo l’impatto sociale del licenziamento collettivo, favorendo l’estromissione di quei dipendenti che possono subire un danno comparativamente minore dal recesso e proprio per tale ragione il legislatore ha dato preferenza ai criteri contrattuali perché, calandosi meglio nella singola realtà aziendale, consentono un più razionale ed equo contemperamento dei vari interessi in gioco rispetto alla tipizzazione in astratto affidata ai criteri legali.
Il criterio convenzionale maggiormente utilizzato è quello della prossimità alla pensione, cioè quello che determina il licenziamento di quei soggetti prossimi a possedere i requisiti per accedere ad un trattamento pensionistico e la ratio è chiara: i lavoratori prossimi alla pensione, pur difficilmente ricollocabili nel mondo del lavoro, possono godere di una fonte di reddito (la pensione) alternativa alla retribuzione rispetto a quei lavoratori più giovani che, terminata la tutela dell’indennità di mobilità, rimarrebbero senza reddito.
Come ha più volte affermato la giurisprudenza sia di merito, sia di legittimità, la determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, che si traduca in un accordo sindacale concluso dai lavoratori attraverso le associazioni sindacali che li rappresentano, deve rispettare il principio non solo di non discriminazione, ma anche di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell'obiettività e della generalità (cfr. C. Cass. N. 13794/2015, C. Cass. N. 16351/2016).
Pertanto, i criteri convenzionali devono essere sufficientemente generici da permettere l’esauriente ed univoca selezione dei lavoratori destinatari del licenziamento, ma non possono esserlo al punto da attribuire alcun margine di discrezionalità al datore di lavoro (cfr. C. Cass. N. 6560/2010 e C. Cass. n. 10424/2012).
Proprio sulla base di tale orientamento la Suprema Corte si è trovata, nel caso qui in commento, a dichiarare l’illegittimità di un licenziamento collettivo per aver fissato l’accordo sindacale un criterio di scelta ritenuto eccessivamente generico e dunque illegittimo perché lasciava un’eccessiva discrezionalità al datore di lavoro. In particolare, nel caso di specie, una Banca aveva concordato con le OO.SS. l’applicazione del criterio convenzionale della prossimità alla pensione, ma nell’accordo aziendale era stata inserita una clausola con la quale è stato deciso di tenere indenni dalla procedura di licenziamento collettivo quei lavoratori che ricoprissero “posizioni con contenuti specialistici e/o commerciali di particolare rilevanza” per i quali il rapporto di lavoro sarebbe dunque proseguito, in virtù di tale riserva datoriale.
La Suprema Corte ha ritenuto che l’esclusione di alcuni lavoratori dalla procedura sulla base di questa clausola fosse illegittima, ritenendo il criterio di scelta eccessivamente generico, non obiettivo ed irrazionale perché di fatto conferiva alla società datrice un margine di discrezionalità smisurato nella scelta dei lavoratori da licenziare.
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