Licenziamento per giustificato motivo oggettivo di personale con mansioni omogenee: criteri di selezione.
In caso di licenziamento per ragioni inerenti all'attività produttiva e all'organizzazione del lavoro ex art. 3 legge n. 604/1966, ove detto licenziamento sia motivato dalla generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, la scelta del dipendente da licenziare deve essere improntata a correttezza e buona fede, identificandosi la stessa nel corretto uso dei criteri di scelta indicati dall'art. 5 della legge n. 223/1991.
Con la recente sentenza n. 14021 del 08.07.2016 la Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro torna sull’argomento, ampiamente dibattuto, concernente i margini di libertà del datore di lavoro ove si tratti di licenziare, per motivi oggettivi, uno o più lavoratori che svolgono mansioni omogenee e fungibili.
Entrando maggiormente nel dettaglio, una grande società di navigazione aveva effettuato il licenziamento di uno dei suoi sei autisti.
Poiché detto licenziamento era avvenuto nell'ottobre 2012, era ad esso applicabile l'art. 18 della legge n. 300/1970 con le modifiche introdotte dalla legge n. 92 del 2012.
Tale licenziamento era avvenuto per ragioni inerenti all'attività produttiva e all'organizzazione del lavoro.
Aggiungiamo anche, perché la circostanza è rilevante, che si trattava di operare una scelta tra una platea di lavoratori svolgenti mansioni omogenee (degli autisti) e fungibili (cioè espletabili indifferentemente da ognuno di loro).
Nei precedenti gradi di giudizio, sia il Tribunale che la Corte d'Appello territoriale avevano dato ragione al lavoratore per avere la società "violato i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare in caso di riduzione di personale con mansioni omogenee" condannando l'azienda alla reintegrazione ed al pagamento delle retribuzioni maturate dal recesso sino alla effettiva reintegra.
Il Giudice non può certo sindacare, sotto il profilo della congruità ed opportunità, la scelta imprenditoriale di procedere al licenziamento (prerogativa "coperta" dal principio di libertà economica ex art. 41 Cost., purché le motivazioni addotte si concretizzino in una scelta effettiva e non pretestuosa: cfr., fra le molte, Cass. nn. 12554/1998; 4670/2001; 7376/2001; 13021/2001; 16163/2004; 21121/2004; 21282/2006; 23222/2010), ma può e deve valutare se, nel caso specifico, il datore di lavoro abbia operato la scelta tra i lavoratori potenzialmente destinatari del licenziamento secondo alcune regole desumibili dall’ordinamento.
La Suprema Corte, affrontando quest'ultimo aspetto, ha ribadito che la scelta del lavoratore non è totalmente libera, ma limitata dal divieto di atti discriminatori, nonché dalle regole di correttezza cui deve essere informato (ex artt. 1175 e 1375 cod. civ.) ogni comportamento delle parti del rapporto, quindi anche il recesso di una di esse (tra le molte: Cass. n. 7046/2011, Cass. n. 11124/2004, Cass. n. 13058/2003, Cass. 14663/2001 e Cass. n. 16144/2001).
In questa situazione, come bene spiega la Corte, la giurisprudenza si è posta il problema di individuare in concreto i criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta conforme ai dettami di correttezza e buona fede ed ha ritenuto con continuità che possa farsi riferimento, pur nella diversità dei regimi astrattamente applicabili, ai criteri stabiliti dall'art. 5 della legge n. 223/1991 per i licenziamenti collettivi.
Occorrerà pertanto prendere in considerazione i criteri dei carichi di famiglia e dell'anzianità aziendale (non avendo rilievo, nel caso specifico di lavoratori in situazione di totale fungibilità, le esigenze tecnico produttive e organizzative).
La Corte ha anche puntualizzato che il ricorso ai suddetti criteri sia giustificato non tanto in applicazione di un criterio analogico, quanto perché essi rappresentano uno "standard" particolarmente idoneo a consentire al datore di lavoro di esercitare il suo unilaterale potere selettivo in modo coerente con gli interessi del lavoratore e dell'azienda.
Aggiungiamo, per completezza, che accogliendo invece il secondo motivo di gravame, la Corte ha ritenuto doversi applicare al caso la tutela che possiamo definire "attenuata" (per distinguerla da quella assai più incisiva applicata dai giudici di merito) non ritenendo ricorrenti nel caso di specie gli estremi della "manifesta insussistenza" del fatto posto alla base del licenziamento.
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