Qualora il lavoratore impugni stragiudizialmente il licenziamento per superamento del periodo di comporto (ovvero, del massimo periodo di assenza protetta per malattia) in uno con la richiesta di comunicazione dei giorni conteggiati a tal fine dalla datrice, la mancata ottemperanza della datrice a tale richiesta di specificazione è ininfluente ai fini della legittimità del licenziamento. Questo è quanto ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, con la recente sentenza 19 giugno, n. 15069, tornata a pronunciarsi sul tema dell'eventuale necessità, ove richiesto dal dipendente, di specificazione dei motivi che hanno portato al recesso per superamento del periodo di comporto.
Nel caso di specie, in particolare, la Società non aveva dato seguito alla richiesta del lavoratore licenziato (evidentemente, da intendersi come indicazione dettagliata delle giornate di assenza per malattia conteggiate ai fini del periodo di comporto), avendo quest'ultimo contestualmente impugnato il recesso.
I Giudici d'Appello, richiamando un orientamento della Cassazione (così, Cass. n. 18861/2010), accoglievano le prospettazioni del lavoratore e dichiaravano l'illegittimità del licenziamento intimato, ribadendo il principio in base al quale a fronte di una specifica richiesta del dipendente, il datore è obbligato a specificare i motivi del licenziamento, anche quando, come nel caso di specie, riguarda dati ed elementi già noti al dipendente.
La Corte ha però ribaltato detta decisione. Essa, infatti, in assoluta riforma di quanto stabilito dalla Corte di merito, ha considerato determinante il fatto che il lavoratore, contestualmente alla richiesta di specificazione dei motivi, avesse impugnato (seppur stragiudizialmente) il licenziamento ricevuto, determinando così «la consumazione di uno spatium deliberandi cui avrebbe avuto diritto attraverso l'ottenimento di una motivazione espressa del recesso».
In sostanza, a parere della Corte, il fatto che il lavoratore, pur non conoscendo i motivi specifici del recesso, lo avesse comunque impugnato, anche solo in via stragiudiziale, rendeva superflua la specificazione richiesta dallo stesso alla datrice. Ciò in quanto il lavoratore, con l'atto di impugnativa, aveva già esercitato e dunque consumato il proprio potere di valutazione circa l'eventuale proposizione dell'impugnazione, potere all’esercizio del quale la conoscenza dei motivi specifici è preordinata.
Resta ovviamente fermo il principio, confermato anche di recente dalla Suprema Corte con sentenza n. 18196/2016, in base al quale in difetto di un’impugnazione precedente o contestuale alla richiesta di indicazione di cui si discute «la mancata specificazione richiesta dal lavoratore dei giorni di assenza per malattia ai fini della verifica del superamento del periodo di comporto, comporta la nullità del licenziamento intimato, sussistendo in capo al datore di lavoro l’onere di comunicazione dei giorni malattia che hanno portato al superamento del periodo di conservazione del posto di lavoro».
Senza potersi dilungare, la sentenza apre una serie di criticità. Posto che appare consigliabile effettuare la richiesta di comunicazione dei giorni conteggiati dall’azienda ai fini del calcolo del comporto e l’impugnazione del licenziamento con due atti separati, quanto tempo deve intercorrere tra l’una e l’altra missiva affinché la seconda non vanifichi la prima? L’obbligo di rispettare il termine di 60 giorni dal ricevimento della lettera licenziamento ai fini della validità dell’impugnazione potrebbe infatti notevolmente restringere tale lasso temporale. Si consideri poi che l’attuale formulazione dell’art. 2 c. 2 della l. 604/66 impone al datore l’immediata motivazione del recesso (ma che in tale onere è dubbio che rientri anche l’analitica indicazione dei giorni conteggiati al fine del comporto) e non prevede più che il datore debba riscontrare la eventuale richiesta di specificazione del lavoratore entro 7 giorni. A tali interrogativi potrà rispondere la giurisprudenza ma, nel frattempo, appare prudente far seguire la richiesta di specificazione a pochi gironi dalla ricezione del licenziamento e, nel caso in cui la società non risponda, impugnare il recesso a ridosso della scadenza del termine di 60 giorni. Ciò dovrebbe consentire di salvaguardare una difesa che potrebbe rivelarsi preziosa nel successivo giudizio.
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