Con l’ormai nota sentenza n. 3196, pubblicata lo scorso 04 febbraio 2019, la Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere su una questione sempre più discussa nelle aule di giustizia. Per gli Ermellini non ci sono dubbi: “il limite staturale di 160 cm prescritto nella procedura di assunzione di personale con qualifica di capo servizio treno, bandita dall'azienda nel 2006, costituisce una discriminazione indiretta, siccome non oggettivamente giustificato, né comprovato nella sua pertinenza e proporzionalità alle mansioni comportate dalla suddetta qualifica (Direttiva 2002/73/CE)”.
Per i Giudici di merito (prima) e la Corte di Legittimità (poi), l’altezza minima - così come ogni altro requisito fisico previsto dal bando di concorso - è legittima solo se determinante per il corretto svolgimento delle mansioni da parte degli assunti.
In tutti gli altri casi, ossia quando il limite di altezza non è essenziale ai fini del compito che si andrà a eseguire, l’inserimento del predetto limite configura una vera e propria discriminazione, soprattutto nel caso, com’è quello di specie, in cui il bando di concorso preveda la stessa altezza minima per uomini e donne, non tenendo conto quindi che per natura queste ultime sono solite avere una statura più bassa. Insomma, un limite, quello oggetto della pronuncia in commento, che seppur relativo a un criterio apparentemente neutro, pone le lavoratrici in una posizione di potenziale svantaggio rispetto ai lavoratori dell’altro sesso (art. 25, d.lgs. n. 198/2006).
In breve – conclude la Cassazione - diversamente dalla “discriminazione diretta”, che è sempre vietata, quella “indiretta” può sottrarsi alla “qualifica di discriminazione”, a condizione che sia giustificata da una finalità legittima e i mezzi impiegati siano “appropriati e necessari”. Spetterà dunque al giudice di merito valutare in concreto la funzionalità del requisito richiesto per disapplicare, eventualmente, la disposizione ritenuta discriminatoria. Ne consegue inevitabilmente – come del resto già affermato, seppur timidamente e rapidamente, dalla Suprema Corte con sentenza n. 23562/2007 – che, qualora un’azienda richieda un’altezza minima tra i requisiti fisici necessari per prendere parte a una procedura di assunzione, è necessario che questa dimostri la “rigorosa rispondenza del limite di statura alla funzionalità e alla sicurezza del servizio da svolgere”; nel caso contrario il suddetto limite verrà disapplicato e di conseguenza potranno partecipare al concorso tutti i candidati che - indipendentemente dalla loro altezza – soddisferanno gli altri requisiti fisici richiesti.
La pronuncia qui commentata prosegue la scia di un percorso già ben definito dalla giustizia amministrativa. Sul punto, l’ultima importante sentenza del TAR del Lazio, la n. 3632/2017, ha infatti ritenuto illegittimo il limite di altezza (minimo di 1,58 m per le donne) richiesto in un concorso per Vigili del Fuoco. La stringente motivazione del TAR ha stabilito che per la posizione dei Vigili del Fuoco - così come per le Forze Armate – non possano essere inseriti limiti di altezza tra le cause di esclusione dalla procedura di assunzione, nonostante statura, peso e agilità siano astrattamente determinanti per lo svolgimento dei compiti previsti.
Il Tribunale ha, infatti, ricordato che, anche nel caso in cui le attività lavorative richiedono particolari capacità fisiche, la selezione non può essere limitata ad un “mero dato numerico” qual è l’altezza; sarà piuttosto opportuno e necessario inserire prove pratiche per verificare - indipendentemente dalla statura - le reali capacità fisiche di un soggetto.
Conclusione, quest’ultima, cristallizzata dal D.P.R. 17 dicembre 2015 n. 207 che, relativamente a Forze Armate e Polizia, esclude l’altezza dai requisiti necessari per la partecipazione ai concorsi. Non sarà dunque tale criterio l’elemento vincolante: lo saranno invece le qualità fisiche del soggetto, qualora queste siano essenziali ai fini delle mansioni da ricoprire.
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