Nuova pronuncia della Cassazione in materia di licenziamento intimato durante il periodo di prova sull'erroneo presupposto della validità del patto.
Secondo la Cassazione in questo caso il recesso datoriale deve essere soggetto alla verifica giudiziale circa la sussistenza o meno della giusta causa o del giustificato motivo come un ordinario licenziamento.
Come è noto, la stipulazione del contratto di lavoro può prevedere lo svolgimento di un periodo di prova variabile, durante il quale entrambe le parti possono recedere senza l'obbligo del preavviso o di indennità (art. 2096 cod. civ.).
In generale, il patto di prova è da ritenersi illegittimo quando non è funzionale alla sperimentazione della reciproca convenienza al contratto, per essere quest'ultima già intervenuta tra le parti con esito positivo ed in relazione alle medesime mansioni (così, Cass. n. 8579/2004).
Più in particolare, la mancanza della forma scritta determina la nullità del patto e l'immediata conversione del rapporto in definitivo; la stessa sanzione di nullità si verifica ove il patto di prova sia stato stipulato dopo l'instaurazione del rapporto lavorativo o sia stato pattuito oralmente (Cass. n. 1347/1988 e Cass. n. 5591/2001).
Fatta questa breve premessa, veniamo al caso che ci occupa.
La Suprema Corte è tornata a pronunziarsi sul tema con la sentenza n. 17358 del 03.07.2018 confermando il proprio orientamento.
La Cassazione ricorda come il licenziamento intimato sull'erroneo presupposto della validità del patto di prova (nel caso affetto da nullità per essere la prova già avvenuta con esito positivo) non è sottratto alla applicazione della disciplina limitativa dei licenziamenti, di modo che la tutela da riconoscere al lavoratore sarà quella prevista dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori ove il datore di lavoro non alleghi e dimostri l'insussistenza del relativo requisito dimensionale.
Ricorda ancora la Suprema Corte come la libera recedibilità durante il patto di prova presuppone necessariamente che il patto di prova sia stato validamente apposto.
Di conseguenza, ove ne difettino i requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge, la nullità della clausola che, essendo parziale non si estende all'intero contratto, ne determina la conversione (sia pure in senso atecnico) in uno ordinario, con applicabilità del relativo regime di tutela per i licenziamenti illegittimi.
Nel caso di specie il licenziamento era stato pacificamente irrogato con riferimento all'art. 2096 del codice civile, nell'erroneo presupposto della persistente validità del patto di prova, oltre il 45° giorno, quindi oltre il termine massimo del periodo di prova, quando il rapporto era già consolidato come a tempo determinato.
I giudici di merito avevano quindi accertato la carenza di giusta causa o giustificato motivo del licenziamento facendo applicazione dei principi di legittimità sopra enunciati, anche in ordine all'onere della prova sul requisito dimensionale gravante sul datore di lavoro.
Quest'ultimo, in effetti, nulla aveva allegato o chiesto di dimostrare in merito, con conseguente applicazione della reintegra del lavoratore.
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